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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-10-17 ad oggi 2010-10-17 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)SCENARI "La nuova guerra fredda? Si combatterà nell'Artico" Con quella fetta di mare sempre più libera dai ghiacci, frutto del più eclatante cambiamento ambientale del pianeta, aumentano i rischi di tensioni tra i paesi per lo sfruttamento delle risorse ambientali, adesso più a portata di mano. E gli esperti chiamati dalla Nato lanciano l'allarme IL RAPPORTO Wwf lancia l'emergenza risorse "Nel 2030 ci vorranno 2 Terre" Il Living Planet Report del 2010 indica un'accelerazione del consumo di fonti disponibili rispetto a quelle che si rigenerano e un depauperamento sempre più rapido. I maggiori squilibri negli Emirati, Usa, Belgio e Danimarca. Lo stile di vita dell'Italia richiederebbe una media di 2,8 pianeti di |
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it/2010-10-17 SCENARI "La nuova guerra fredda? Si combatterà nell'Artico" Con quella fetta di mare sempre più libera dai ghiacci, frutto del più eclatante cambiamento ambientale del pianeta, aumentano i rischi di tensioni tra i paesi per lo sfruttamento delle risorse ambientali, adesso più a portata di mano. E gli esperti chiamati dalla Nato lanciano l'allarme di JACOPO PASOTTI "La nuova guerra fredda? Si combatterà nell'Artico" Sfiora i minimi storici del 2007 e 2008, e quest'anno la banchisa polare si assesta al terzo posto nei record negativi per estensione in trent'anni di misure satellitari. Il ghiaccio vecchio diminuisce, quello giovane è sottile e meno resistente: segno di un declino che perdura, secondo gli scienziati. Nei prossimi decenni l'Oceano Artico si trasformerà da un territorio sigillato e ostile in una frontiera per l'esplorazione di nuove risorse e per il trasporto. Così, ironicamente, il riscaldamento globale potrà generare una nuova guerra fredda, che sarà, neanche a farlo apposta, nel regno di iceberg e ghiacciai. La conferenza, l'allarme Il timore di una crescente instabilità tra i paesi circumpolari non è fantasia. E' per questo che la NATO, all'interno del Programma Scienza per la Pace e la Sicurezza, ha convocato un pool scelto tra scienziati, politici, strateghi presso lo Scott Polar Research Institute (SPRI, Cambridge). Che, insieme a rappresentanti delle popolazioni indigene polari, di organizzazioni ambientaliste, di multinazionali del petrolio (Shell international), formavano un team interdisciplinare riunito per discutere sulla sicurezza ambientale nell'Oceano Artico. L'incontro a cui hanno partecipato esperti di 17 paesi, si è concluso venerdi scorso. Non una prova generale della spartizione della torta artica, però, ma un incontro "aperto al dialogo sui problemi di sicurezza internazionale legati al cambiamento climatico", spiega Paul Berkmann, direttore del Programma di Geopolitica dell'Artico presso lo SPRI. "Stiamo facendo il possibile per trovare un equilibrio tra interessi delle singole nazioni e quelli globali." Anticipando l'incontro, in un'intervista rilasciata al Guardian l'ammiraglio James Stadyris, comandante supremo alleato in Europa, avverte: "Fino ad ora le dispute sono state gestite pacificamente, ma nei prossimi anni il cambiamento climatico potrebbe alterare questo equilibrio e innescare una corsa per lo sfruttamento delle risorse naturali, che saranno più accessibili". "Siamo lontani dai tempi della Guerra fredda, quando la Russia aveva 150 sommergibili operativi nell'Artico, oggi sono solo 20", dice Igor Koudrik, della fondazione norvegese per l'ambiente Bellona. "Lo sfruttamento intensivo delle risorse sottomarine è ancora lontano, noi vigiliamo, comunque, su qualcosa che potrebbe accadere in futuro". Ed è proprio la Russia a guidare la lista dei paesi interessati all'Artico. Le regioni polari forniscono il 14% del PIL, l'80% del gas naturale, il 90% di nickel e cobalto del paese, pur essendo abitate solo dal 2% della popolazione russa. Rischi politici ed ambientali Che ci sia fermento nell'artico lo dimostrano, per esempio, i continui test militari della marina militare russa. È stato appena avviato l'ultimo test di un nuovo sottomarino strategico, lo "Yury Dolgoruky", che lancerà il suo primo missile balistico Bulava in Dicembre nel Mar Bianco (i cui test nel 2009 divennero un caso internazionale 1). I rischi per l'ambiente sono concreti. Alcune organizzazioni ambientaliste mostrano preoccupazione per i cargo carichi di materiale radioattivo inviati dalla Polonia verso l'impianto di rifiuti nucleari sulla catena degli Urali, in Russia. Bellona avverte che le navi abbandonano la cortina di sicurezza del porto di Gydnia in Polonia e circumnavigano la Norvegia fino al porto di Murmansk, praticamente invisibili ai controlli radar norvegesi (a causa della loro stazza), affrontando mari ostili e fornendo potenziali bersagli di attacchi (o sequestri) terroristici. Ci sono, poi, il petrolio e i metalli. Crescono infatti le attenzioni dei governi verso il fondale marino polare, che potrebbe contenere il 25 per cento delle riserve petrolifere mondiali oltre a immensi giacimenti di gas e metalli. L'incidente della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico ha infatti mostrato che un disastro di simili proporzioni causerebbe danni ambientali ancora più drammatici in un ecosistema delicato come quello polare. Secondo la Convenzione ONU per i diritti marini, i Paesi circumpolari dispongono di una zona economica esclusiva entro 370 chilometri dalle rispettive coste. Ma ciascuno Stato può avanzare richiesta di estensione e di sfruttamento se dimostra che la piattaforma continentale supera questo limite. Così, mentre il governo norvegese ha appena stanziato 1,2 milioni di euro per uno studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento dei fondali intorno alle isole di Jan Mayen, la Russia ha concesso cinque nuove licenze (alle russe Gazprom e Rosneft) per lo sfruttamento di idrocarburi nel mare di Kara e di Barents. La distesa di ghiaccio polare, insomma, non è più quell'insormontabile ostacolo di un tempo. (16 ottobre 2010
IL RAPPORTO Wwf lancia l'emergenza risorse "Nel 2030 ci vorranno 2 Terre" Il Living Planet Report del 2010 indica un'accelerazione del consumo di fonti disponibili rispetto a quelle che si rigenerano e un depauperamento sempre più rapido. I maggiori squilibri negli Emirati, Usa, Belgio e Danimarca. Lo stile di vita dell'Italia richiederebbe una media di 2,8 pianeti di ANTONIO CIANCIULLO Wwf lancia l'emergenza risorse "Nel 2030 ci vorranno 2 Terre" Consumiamo un pianeta e mezzo, cioè utilizziamo più risorse di quelle che si rigenerano e colmiamo la differenza divorando il patrimonio naturale della Terra. Nel 2030, in assenza di una drastica correzione di rotta, arriveremo ad aver bisogno di due pianeti. Sono i dati contenuti nel Living Planet Report, il rapporto biennale realizzato dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network. Il volume, frutto di un lavoro di due anni di ricerca, esamina la situazione non dal punto di vista ambientale ma anche economico. Ecco i punti principali. BIODIVERSITA'. Nell'anno internazionale della biodiversità, a pochi giorni dall'apertura della Conferenza di Nagoya che dovrà decidere le nuove strategie per fermare il tasso di perdita della biodiversità al 2020, il quadro è preoccupante. L'obiettivo della Convenzione sulla Biodiversità, proteggere il 10% di ogni regione ecologica, è stato raggiunto solamente nel 55% delle ecoregioni terrestri. Dal 1966 la pressione umana è raddoppiata, mentre lo stato di salute delle specie globali è diminuito del 30 per cento. Questo 30 per cento è una media tra il miglioramento nella zona temperata (più 29 per cento rispetto al 1979) ottenuto grazie agli sforzi nel campo della conservazione e un declino che ai tropici arriva al 60 per cento. L'IMPRONTA ECOLOGICA. Per vivere entro i limiti della capacità del pianeta senza compromettere le generazioni future bisognerebbe che ogni abitante del pianeta si accontentasse di 1,8 ettari per ottenere le risorse di cui ha bisogno e per smaltire i rifiuti. Non è così. Se tutti adottassero lo stile di vita di un abitante medio degli Emirati Arabi ci vorrebbero 6 pianeti a disposizione, con lo stile di vita di Stati Uniti, Belgio e Danimarca ce ne vorrebbero 4,5, per Canada e Australia 4. Ma anche l'Italia - osserva il rapporto - non brilla per leggerezza: a ciascun italiano servono infatti ben 5 ettari globali per soddisfare il suo stile di vita, un valore equivalente alla capacità produttiva di 2,8 pianeti, che ci porta al 29° posto della classifica, subito dopo Germania, Svizzera e Francia, ma molto prima dei più virtuosi Regno Unito, Giappone e Cina. ECONOMIA. La crisi economica che stiamo vivendo s'intreccia con la minaccia di bancarotta ecologica. Sovrappopolazione, sprechi, disattenzione hanno portato a un saccheggio crescente delle materie prime e delle fonti energetiche che oggi hanno un andamento fortemente instabile dal punto di vista dei prezzi e disastroso dal punto di vista ambientale: la depurazione dell'acqua, la fertilità del suolo, la stabilità dell'atmosfera (e quindi del clima) sono servizi gratuiti che la natura offre e che la crescita umana senza controllo sta minando. "I paesi che mantengono alti livelli di dipendenza dalle risorse naturali stanno mettendo in pericolo le loro stesse economie - ricorda Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network - I paesi che riescono a garantire la migliore qualità di vita con la minore pressione sulla natura non solo aiuteranno gli interessi globali, ma saranno leader in un mondo dalle risorse sempre più ristrette." LA DIRETTA. La presentazione del rapporto è avvenuta in diretta mondiale webcast con la partecipazione della giornalista di Al Jazeera Veronica Pedrosa. A Repubblica Tv 1, due esperti del Wwf (il direttore scientifico Gianfranco Bologna e la responsabile per la sostenibilità Eva Alessi) hanno risposto in diretta alle domande che hanno insistito molto sulle possibilità concrete di azione per superare sia la crisi ambientale che quella economica. (13 ottobre 2010) |
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